La settimana corta di 4 giorni lavorativi è già una realtà anche in Italia, sebbene se ne parli ancora poco. Numerosi sono i vantaggi che una settimana più corta può creare, sia per le aziende che, soprattutto, per i lavoratori.
Secondo Fabrizio Cotza, mentore sovversivo, salvaguardare i valori umani anche all’interno del mondo del lavoro viene definito sovversivo quando invece si tratta di semplice buon senso. Da venti anni Fabrizio Cotza guida altri imprenditori a diventare Sovversivi ottimizzando le risorse per aumentare i guadagni e anche la qualità della vita. Lavora per 4 giorni a settimana, 3 settimane al mese, 7 mesi l’anno. Nei suoi corsi dove forma i Sovversivi insegna a fare lo stesso. Non sono poche le storie raccontate da imprenditori italiani che hanno applicato il metodo e lo affermano con vigore.
La settimana corta di 4 giorni lavorativi è già una realtà anche in Italia, sebbene se ne parli ancora poco. Money.it, testata giornalistica italiana a tema economico e finanziario, ha verificato i risultati di questo esperimento portato avanti da due grandi aziende, Awin Italia e Carter&Benson. Tutto presuppone che sia una decisione vincente. Ovviamente la retribuzione dei dipendenti e i vari benefit devono rimanere invariati. Le due aziende riferiscono che i loro dipendenti hanno lavorato molti mesi per studiare e capire come realizzare il progetto senza che la produzione e i profitti subissero ripercussioni.
Come loro tutte le aziende che hanno reso operativa la settimana di 4 giorni lavorativi hanno ottenuto più professionalità, maggiore qualità del lavoro, dipendenti più motivati con minor carico di stress.
I dipendenti intervistati riferiscono miglioramenti sia durante lo svolgimento del lavoro che nella vita privata: maggiore concentrazione, minor attrito con i colleghi, aumentata capacità di gestione dei problemi, impiego di creatività nello sviluppo di progetti, sentirsi più apprezzati e valorizzati, incremento della quantità e qualità di tempo da dedicare alla famiglia o alle proprie passioni.
È notizia recente che l’Islanda ha definitivamente adottato la settimana di 4 giorni lavorativi. Partita come necessità a causa di un calo di produttività nel 2015, la sperimentazione è durata 4 anni coinvolgendo solo alcune classi di lavoratori. Anche qui i risultati hanno mostrato un calo di stress e più equilibrio nella gestione della propria professionalità. L’esperimento è stato definito “un successo clamoroso da esportare in tutto il mondo”. Attualmente l’86% della forza lavoro in Islanda è impiegata con orari ridotti.
Sicuramente la pandemia ha trasformato il modo di valutare e gestire il lavoro, spostando l’attenzione su nuovi possibili scenari. La Gran Bretagna si dice pronta a fare il grande passo e le decine di migliaia di aziende intervistate affermano di essere preparate alla trasformazione.
QuiFinanza riporta che secondo uno studio OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) l’Italia è al decimo posto, ultima nella graduatoria dei Paesi dove si lavora meno percependo ottimi stipendi. In Europa il modello della settimana corta è già diffuso, per qualcuno da lungo periodo, come l’Olanda; altri stanno approcciando questa innovazione, chi da più tempo, aggiustando ancora il tiro, altri sulla linea di partenza. Irlanda, Norvegia, Danimarca sono già consolidati; in Francia per legge si lavora 35 ore a settimana dal 2002; in Spagna verrà sperimentata la settimana corta a partire da quest’anno per tre anni.
Ci sono anche Svezia, Nuova Zelanda e Giappone, quest’ultimo con l’esperimento ormai stabile di Microsoft il cui week-end lungo inizia il giovedì sera. Pare dunque avviato il processo secondo il quale l’attenzione sarà incentrata sulla qualità del lavoro pur diminuendone la quantità. Ciò significherà, come ampiamente dimostrato dalle aziende dove questo approccio è messo in atto, un incremento delle prestazioni sia dei dipendenti che dell’azienda nel suo insieme. Un ambiente collaborativo non può che portare grandi benefici, perché ciascuna collettività è formata dai singoli, ed è questo il principio sul quale si basano i commenti degli imprenditori.
Ciò comporta un’inversione di pensiero, uscire dalla rigida credenza del lavoro duro per ottenere vantaggi, a fronte di una maggior resa professionale. La vecchia mentalità imprenditoriale secondo la quale i dipendenti non hanno a cuore il bene dell’azienda ha portato il mondo del lavoro ad avere un tale carico di stress che si ripercuote su tutti i collaboratori e diventa sempre più improbabile credere che ne scaturiscano grandi benefici. A tutti gli imprenditori intervistati è stata posta la domanda quale sia la base di questa trasformazione e la risposta è stata “fiducia”.
Sicuramente occorrerebbe uno Stato meno pressante fiscalmente, con una diminuzione del costo del lavoro che ad esempio in Italia è altissimo. Ma è una strada che vale la pena iniziare a percorrere, almeno come idea realizzabile. L’equilibrio emotivo relativo alla qualità della vita che può essere raggiunta è di certo ciò che attende il futuro del lavoro. Il futuro che è già qui impone un rallentamento della pressione e del logorio che ne deriva, e ciò non significa meno profitti, come dimostrato. Si tratta di accogliere il nuovo e allenarsi alla prossima partita sul campo per esserne protagonisti.